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Intervista a Gregorio III Laham

Patriarca della Chiesa Greco­melchita - Cattolica

AVVENIRE martedì 17 ottobre 2012 - di Lucia Capuzzi

Articolo Avvenire 16-10-2012

«Solo la riconciliazione può arginare il caos»

l'intervista a Gregorio III Laham, patriarca della Chiesa greco­melchita- cattolica e a mons. Jean-Clement Jeanbart

«Non si può andare avanti così. Con le armi non si arriva ad alcuna soluzione E l’opposizione è divisa»

Civili massacrati mentre fanno la fila per la distribuzione del pane.
Medici arrestati insie­me ai figli dal regime mentre curano i feriti.
Famiglie utilizzate come scu­di umani dai ribelli nei centri citta­dini.
Decine e decine di vittime. E profughi: un fiume umano in fuga da morte e orrori che si fa sempre più numeroso. È sufficiente leggere le no­tizie giunte dalla Siria solo negli ulti­mi tre giorni per restare quantome­no senza parole. «La violenza si è fat­ta inaudita. Basta pensare che nel 2011, la stampa locale parlava di 5mi­la morti. Da febbraio ad ora sareb­bero il quintuplo», dice il patriarca della Chiesa greco-melchita- cattolica in Siria, Gregorio III Laham, in questi giorni in Italia per il Sinodo e impegnato in una serie di iniziati­ve col sostegno della Rete No War.
Il Patriarca vuole lanciare un appello al mondo perché «fermi il massacro». Non, però, con un intervento milita­re o con forniture d’armi a una delle fazioni in lotta, ma attraverso la pro­mozione del dialogo. Quello che da mesi ormai fa il movimento Mussa­laha, nato all’interno della società ci­vile siriana e sostenuto da rappre­sentanti delle differenti confessioni religiose. Iniziativa popolare che, fin dall’inizio, Gregorio III appoggia e promuove.

È possibile costruire la pace in Siria?

Una cosa è certa: non è possibile an­dare avanti così. Abbiamo visto che con le armi non arriviamo a niente. È giunto il momento di trovare un’al­tra strategia. Mussalaha funziona: lo abbiamo visto a livello locale. Attra­verso il dialogo e la riconciliazione si riescono a ricomporre i conflitti nei villaggi. Sarebbe ora di ripro­porre la medesima strategia a livel­lo nazionale.

L’escalation di violenza si fa di gior­no in giorno più feroce...

Spesso, media e analisti parlano di guerra civile siriana. Nel mio Paese, in realtà, non c’è un conflitto, c’è il caos. Perché non ci sono due parti in lotta, ma una serie di gruppi con interessi diversi e spesso contrappo­sti. L’opposizione non è movimento unico. Ai dissidenti si uniscono spes­so bande armate che approfittano della situazione confusa per regola­re vecchi conti, saccheggiare villaggi, attuare vendette. A farne le spese so­no i civili, intrappolati nei combatti­menti. I cristiani, che sono le vittime più fragili in quanto minoranza, stan­no affrontando indicibili sofferenze. 

Può fare qualche esempio?

Una degli ultimi casi è avvenuto a in un sobborgo di Damasco. Gruppi ar­mati si sono presentati e hanno inti­mato alla popolazione – quasi tutta cristiana – il pagamento di 25mila dollari al mese. Una cifra enorme per chi sta perdendo tutto a causa degli scontri. 

Che cosa sta facendo la Chiesa per assistere la popolazione?

La Chiesa cerca di stare il più possi­bile accanto alla gente. A tutti, cri­stiani e musulmani, ribelli e filo-go­vernativi. La Chiesa non propende per nessuna parte politica ma cerca di difendere la popolazione dagli a­busi. Per questo, pur con pochi mez­zi, distribuiamo cibo e aiuti, acco­gliamo gli sfollati interni, che sono tantissimi. E promuoviamo il dialo­go. Con la violenza non si mette fine alla violenza. Noi siriani dobbiamo spezzare questo circolo vizioso.


AVVENIRE © RIPRODUZIONE RISERVATA


 
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Un presepe anche nel Natale dei musulmani.
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Quest’anno ho deciso di rinnovare il Natale allestendo in casa mia, io unico musulmano laico della famiglia, un presepe e un albero più belli e più grandi per condividere con i miei cari la gioia e la meditazione sul mistero della Natività.
Così come ho deciso di presenziare il 26 dicembre al «Presepe vivente dei bambini», allestito al Castello di Giulia Farnese a Carbognano, un comune di 2.070 anime in provincia di Viterbo, per testimoniare la mia partecipazione ai sentimenti di fratellanza e amore tra le persone di buona volontà che il Santo Natale ispira.
Ed è proprio perché la Vergine Maria e suo figlio Gesù, venerati anche dall’islam, incarnano il miracolo della vita, che il Natale dovrebbe diventare una festa comune per onorare lo stesso Dio ed elevare il valore della sacralità della vita a fondamento della nostra umanità.
Uso il condizionale avendo in mente la schiera dei laicisti nostrani che vorrebbero trasformare l’Italia in un ennesimo laboratorio del multiculturalismo, eliminando i simboli religiosi e umani che s’ispirano al cristianesimo, relativizzando e uniformando le fedi, i valori, le culture e persino la realtà manifesta della nostra diversità.
Ma penso anche a quei musulmani che sono ideologicamente avversi alla condivisione con il cristianesimo e l’ebraismo dei valori assoluti, universali e trascendentali che rappresentano l’essenza della nostra umanità, perché immaginano di essere i detentori dell’unica e indiscutibile Verità a cui tutta l’umanità dovrebbe sottomettersi.
E pensare che mentre in Italia, Gran Bretagna e Canada c’è chi, perfino a livello di autorità politiche e giuridiche, ha assunto dei provvedimenti anti-natalizi per non «urtare la suscettibilità dei musulmani», in 25 Paesi a maggioranza musulmana il Natale cristiano (25 dicembre) o il Natale ortodosso (7 gennaio) è considerato festa nazionale.

«Consiglio alle insegnanti italiane che hanno deciso di non allestire i presepi e di vietare agli studenti le canzoni di Natale, di andare a vedere come in Marocco le scuole rimangano chiuse e la gente sia partecipe della festività cristiana», dice Souad Sbai, presidente della Confederazione delle Associazioni della Comunità marocchina in Italia. «Anche per noi musulmani la figura di Gesù e quella di Maria sono importantissime e più volte ricordate dal Corano stesso. Quindi non vedo perché i bimbi musulmani non possano cantarle. I nostri bambini in Italia hanno sempre festeggiato il Natale e tutte le festività. Condanniamo questa strumentalizzazione della presenza islamica in Italia e del nostro rapporto con la società che si registra in questi giorni da parte di chi vuole mettere i nostri figli in prima linea in una battaglia laicista che non ci riguarda e ci danneggia ».

Ali Younis, medico anestesista dell’ospedale di Pescara, italiano di origine libanese, ha chiesto alla maestra della scuola elementare frequentata dalla sua figliola di illustrare ai bambini la verità del rapporto tra il Natale e l’islam: «Ho spiegato loro che Gesù è un profeta molto rispettato dall’islam e che Maria è la donna più venerata. Chi dunque non crede nella nascita miracolosa di Gesù, non è musulmano». «A casa mia abbiamo allestito il presepe e l’albero di Natale...», ci dice Ali che è sposato con un’italiana cattolica, «...e a mezzanotte vado in chiesa ad accompagnare mia moglie e i miei figli per festeggiare insieme la nascita di un profeta dell’islam».
Perfino Dacia Valent, portavoce della Iadl (Islamic Anti-Defamation League), ha invitato per il 25 dicembre «tutte le moschee d’Italia a festeggiare la nascita del Messia e così, nel contempo, consacrare il ruolo di Maria (Mariam) come la donna più importante del Corano».
«Puntuale, come ogni anno, si ripresenta la polemica stupida e sterile sul Natale », si legge in un documento della Iadl; «Gesù è il Profeta amatissimo da Dio. Consentire ai detrattori della nostra religione di continuare nella mistificazione di una nostra presunta avversione alla figura di Gesù non solo è stupido, ma è addirittura suicida».

Come non dare ragione ad Avvenire quando scrive che «il sospetto, sempre più concreto, è che il cosiddetto rispetto delle religioni sia solo un pretesto per mascherare fini bassamente ideologici?» I nemici del presepe, dei canti natalizi o comunque della festa della nascita di Gesù, abbiano il coraggio di dire che sono nemici di questa civiltà occidentale e cristiana, sappiano che di fatto sono alleati degli integralisti e degli estremisti islamici, ma la smettano di tirare in ballo i musulmani impegnati a condividere un’identità italiana e una comune civiltà dell’uomo.

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