“Cattolici e ortodossi, mai così vicini all’unità”
di Aldo Cazzullo, CORRIERE DELLA SERA, 14.9.09 Leggi l'articolo tratto dal corriere della sera.
L’arcivescovo di Mosca Paolo Pezzi: il primato del Papa è un ostacolo superabile
Mosca - «Il miracolo è possibile, anzi non è mai stato così vicino». La riunificazione tra cattolici e ortodossi, la fine dello storico scisma, la comunione spirituale della cristianità «potrebbe accadere presto, anche nel giro di qualche mese. In fondo siamo stati uniti per mille anni. Poi per altri mille siamo stati divisi. Ora il cammino di riavvicinamento è al culmine: il terzo millennio della Chiesa potrebbe cominciare all’insegna dell’unità. Ormai non ci sono più ostacoli formali; tutto dipende dal reale desiderio di comunione. Da parte nostra, della Chiesa cattolica, il desiderio è vivissimo ». C’è un arcivescovo, a Mosca, che non dà interviste, non va in tv, non partecipa a polemiche. Svolge in silenzio una missione importante. «Ho una diocesi grande sette volte l’Italia, da Murmansk, a nord del circolo polare artico, all’enclave baltica di Kaliningrad» sorride. Figlio del sindacalista dei facchini del porto di Ravenna. Cresciuto al fianco di don Giussani. Missionario in Siberia dopo il crollo del comunismo. Uomo di Ratzinger. È Paolo Pezzi, 49 anni, «arcivescovo metropolita della Madre di Dio a Mosca» (le quattro diocesi cattoliche russe prendono il nome dalle chiese e non dalle città, per non urtare la sensibilità degli ortodossi). La «Madre di Dio» è la cattedrale cattolica di Mosca, un’imponente chiesa neogotica di mattoni rossi. Dietro l’abside, dove c’era un’officina, oggi c’è l’arcivescovado. Vi fanno capo sacerdoti polacchi, slovacchi, tedeschi, ucraini, bielorussi, spagnoli, argentini, nordamericani, olandesi, francesi, portoghesi: un avamposto della Chiesa di Roma. Poi ci sono otto italiani. E c’è lui, l’arcivescovo. Incaricato di vegliare su un milione e mezzo di cattolici russi, sparsi su un territorio sterminato. E di riannodare i rapporti con gli ortodossi. Che stanno conoscendo un’evoluzione inaspettata, per certi versi straordinaria. Due mondi che si erano ignorati per secoli, racconta l’arcivescovo, sono stati avvicinati dalla storia. «Sotto il comunismo, ortodossi e cattolici hanno conosciuto gli stessi gulag, lo stesso destino ». Paolo VI incontrò il patriarca di Costantinopoli Atenagora. Il Papa polacco aveva attenzione e passione per i rapporti con Mosca, dove però si avvertiva ancora il retaggio di antiche rivalità nazionali; tanto più che l’arcivescovo cattolico era un bielorusso di origine polacche, Tadeusz Kondrusiewicz, nominato da Benedetto XVI arcivescovo di Minsk al posto del leggendario cardinale quasi centenario Kazimierz Swiatek, una vita nei campi di Stalin. Ora a Mosca c’è un italiano; e per prima cosa monsignor Pezzi ha chiarito che la sua missione non è il proselitismo. Dall’altra parte, dopo la morte del patriarca Aleksej II, è stato eletto Kyrill. Cirillo, come il padre del cristianesimo russo. Già capo dipartimento del patriarcato di Mosca per i rapporti con l’esterno, ha incontrato più volte Ratzinger, conosce bene il Vaticano e il cattolicesimo. Oggi, dice monsignor Pezzi, «non ci sono più ostacoli reali sul cammino verso la piena comunione», verso il ricongiungimento tra le due confessioni. Sui temi della modernità, cattolici e ortodossi la pensano allo stesso modo. «Nulla ci divide su bioetica, famiglia, tutela della vita, limiti alla procreazione assistita». Ma anche la dottrina, spiega l’arcivescovo, è sostanzialmente la stessa. «C’è il punto dei tre dogmi proclamati dopo la separazione. Ma per due, l’Immacolata Concezione e l’Assunzione al cielo della Vergine, il problema è la formulazione, non il contenuto di fede. Resta la questione del primato del Papa. Se ne occuperà il prossimo incontro della commissione cattolici-ortodossi. E non mi pare impossibile arrivare a un’intesa». La storia di monsignor Pezzi è nel nome del paese romagnolo dov’è nato: Russi. Il padre fondò la Cisl di Ravenna, organizzando i lavoratori del porto; melomane, a casa ha una grande collezione di dischi di musica classica. La madre è insegnante. Lui studia da perito tecnico, ha già un lavoro alla Telecom quando incontra Cl, e don Giussani. «Avvertii tre forme di vocazione: a essere vergine, sacerdote e missionario». Entra nella fraternità San Carlo, fondata da un altro sacerdote ciellino, Massimo Camisasca, che dopo la laurea in teologia e il dottorato alla Lateranense manda il giovane Pezzi in Russia. «Arrivai a Novosibirsk, Siberia, nel ’93. Ho incontrato i superstiti dei cattolici tedeschi deportati da Stalin negli Anni Trenta, e i loro discendenti. Uomini e donne che per decenni non avevano incontrato un prete se non qualche fuggiasco, non avevano avuto chiese, non potevano fare la comunione né sposarsi se non segretamente; eppure avevano conservato la fede. Le babushke, le nonne, mi mostravano i quaderni su cui avevano scritto le preghiere da insegnare alle figlie e alle nipoti. Lì compresi che il cristianesimo è come una pianta che cresce pure nelle zone più impervie e non può essere sradicata. Ebbi la conferma che con Gesù si vive meglio». Benedetto XVI l’ha voluto rettore del seminario cattolico di San Pietroburgo, l’unico in tutta la Russia, e dal 2007 arcivescovo a Mosca. Ogni anno monsignor Pezzi è invitato alle celebrazioni di Natale e Pasqua: «L’ultima è durata quattro ore e mezza». Chissà che noia. «Al contrario. Il rito ortodosso è pieno di fascino, anche perché non ha nulla di statico, si è sempre in movimento. E alla fine, nella notte, si cena alla stessa mensa». Ha incontrato Putin – «non solo autoritarismo; anche autorità» – e il nuovo presidente Medvedev: «Putin sembra fare affidamento sulla forza, in particolare su Difesa e Interni, esercito e servizi segreti. Medvedev viene dagli studi di diritto e dalla pratica del business, e pare più attento all’Economia. Ma non ci sono reali divergenze tra i due». Però l’incontro che l’ha segnato di più è stato con una babushka siberiana. «Stalin le aveva ammazzato due figli. Le chiesi cosa pensasse di lui. Mi rispose: 'Pensare? Cosa vuole che pensi? Stalin l’ho perdonato. Altrimenti non avrei potuto vivere'. Io ero fermo all’idea, quella donna mi parlava della vita. Noi rischiamo di fermarci al pensiero, mentre le storie del cattolicesimo russo parlano al nostro cuore. E ci raccontano l’esperienza del martirio, del perdono, e ora la grande speranza della comunione di tutti i cristiani».
fonte: liberstef.myblog.it
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