Intervista a Gregorio III Laham
Patriarca della Chiesa Grecomelchita - Cattolica
AVVENIRE martedì 17 ottobre 2012 - di Lucia Capuzzi
«Solo la riconciliazione può arginare il caos»
l'intervista a Gregorio III Laham, patriarca della Chiesa grecomelchita- cattolica e a mons. Jean-Clement Jeanbart
«Non si può andare avanti così. Con le armi non si arriva ad alcuna soluzione E l’opposizione è divisa»
Civili massacrati mentre fanno la fila per la distribuzione del pane. Medici arrestati insieme ai figli dal regime mentre curano i feriti. Famiglie utilizzate come scudi umani dai ribelli nei centri cittadini. Decine e decine di vittime. E profughi: un fiume umano in fuga da morte e orrori che si fa sempre più numeroso. È sufficiente leggere le notizie giunte dalla Siria solo negli ultimi tre giorni per restare quantomeno senza parole. «La violenza si è fatta inaudita. Basta pensare che nel 2011, la stampa locale parlava di 5mila morti. Da febbraio ad ora sarebbero il quintuplo», dice il patriarca della Chiesa greco-melchita- cattolica in Siria, Gregorio III Laham, in questi giorni in Italia per il Sinodo e impegnato in una serie di iniziative col sostegno della Rete No War. Il Patriarca vuole lanciare un appello al mondo perché «fermi il massacro». Non, però, con un intervento militare o con forniture d’armi a una delle fazioni in lotta, ma attraverso la promozione del dialogo. Quello che da mesi ormai fa il movimento Mussalaha, nato all’interno della società civile siriana e sostenuto da rappresentanti delle differenti confessioni religiose. Iniziativa popolare che, fin dall’inizio, Gregorio III appoggia e promuove.
È possibile costruire la pace in Siria?
Una cosa è certa: non è possibile andare avanti così. Abbiamo visto che con le armi non arriviamo a niente. È giunto il momento di trovare un’altra strategia. Mussalaha funziona: lo abbiamo visto a livello locale. Attraverso il dialogo e la riconciliazione si riescono a ricomporre i conflitti nei villaggi. Sarebbe ora di riproporre la medesima strategia a livello nazionale.
L’escalation di violenza si fa di giorno in giorno più feroce...
Spesso, media e analisti parlano di guerra civile siriana. Nel mio Paese, in realtà, non c’è un conflitto, c’è il caos. Perché non ci sono due parti in lotta, ma una serie di gruppi con interessi diversi e spesso contrapposti. L’opposizione non è movimento unico. Ai dissidenti si uniscono spesso bande armate che approfittano della situazione confusa per regolare vecchi conti, saccheggiare villaggi, attuare vendette. A farne le spese sono i civili, intrappolati nei combattimenti. I cristiani, che sono le vittime più fragili in quanto minoranza, stanno affrontando indicibili sofferenze.
Può fare qualche esempio?
Una degli ultimi casi è avvenuto a in un sobborgo di Damasco. Gruppi armati si sono presentati e hanno intimato alla popolazione – quasi tutta cristiana – il pagamento di 25mila dollari al mese. Una cifra enorme per chi sta perdendo tutto a causa degli scontri.
Che cosa sta facendo la Chiesa per assistere la popolazione?
La Chiesa cerca di stare il più possibile accanto alla gente. A tutti, cristiani e musulmani, ribelli e filo-governativi. La Chiesa non propende per nessuna parte politica ma cerca di difendere la popolazione dagli abusi. Per questo, pur con pochi mezzi, distribuiamo cibo e aiuti, accogliamo gli sfollati interni, che sono tantissimi. E promuoviamo il dialogo. Con la violenza non si mette fine alla violenza. Noi siriani dobbiamo spezzare questo circolo vizioso.
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