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IL MANTO  BIANCO  RECANTE  LA  ROSSA  CROCE  PATENTE:

Riflessioni ed esperienze del Priore maturate in lunghi anni di militanza nell’Ordine



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Il traguardo più emozionante e più ambito per chi si avvicina e vuol entrare a fare parte della vera Cavalleria Religiosa Templare è l’onore di poter indossare il bianco manto armato della rossa croce patente.

Questo momento è inteso dai più come un punto di arrivo; Errore madornale!
L’Investitura cavalleresca è solo il punto d’inizio e dovrebbe essere recepita come il riconoscimento da parte dell’Ordine che l’investito ha iniziato a prendere coscienza dei doveri che ha deciso di assumersi nei confronti della Società Umana, della Chiesa Cristiana e dell’Ordine stesso.

Errore grande è anche pensare di essersi elevati di rango avendo incontrato nei meeting internazionali personalità civili o religiose di notevole rilevanza, magari avendo potuto sedere a tavola affianco a loro, avendo la possibilità di parlare in modo confidenziale ed amichevole con queste.
In realtà non si è compreso che chi è veramente grande ha la capacità di abbassarsi e che il prestigio e la considerazione saranno eventualmente dovuti al lavoro che si è riusciti a svolgere nei dettami delle corrette regole.
Il Cavaliere non deve mai dimenticare che il suo agire deve essere improntato alla massima correttezza e modestia e assolutamente non deve lavorare per conseguire “meriti”,  piuttosto è il lavoro che questi svolge che deve essere considerato meritevole.

Purtroppo, nel corso degli anni ho dovuto constatare che il momento più bello è anche il più pericoloso se non si è compreso che il manto è il simbolo di una militanza e che senza lo spirito di servizio, sopra tutto nei confronti dei più umili, ostentarlo è un  non senso.

Il manto bianco non sancisce l’appartenenza ad una élite.

Il manto bianco non sancisce una differenza sociale.

Il manto bianco non è sufficiente a testimoniare una purezza ed una elevazione spirituale raggiunte, anzi ogni volta che ci accingiamo ad indossarlo dobbiamo interrogarci se siamo degni di apparire in quella veste e se siamo degni di quella rossa croce patente che gli altri ci vedranno portare.

Purtroppo noi Italiani siamo per antonomasia il popolo dei” lei non sa chi sono io” e, in genere, chi meno conta più cerca di ostentare.
Purtroppo molti di noi non capiscono che bisogna cercare di crescere dentro piuttosto che tentare di apparire grandi fuori e che l’arroganza è il preludio della caduta. A questo riguardo visto che siamo Cristiani, non dimentichiamoci che i guai sono iniziati addirittura “Nell’Alto dei cieli”, con Lucifero, il più bello e potente angelo ed il primo a cadere. Sono continuati nel “Paradiso terrestre” con  Adamo ed Eva e successivamente visto che l’umanità non riusciva a migliorarsi si sono estesi su tutta la terra, col “Diluvio Universale”.
In seguito, ai tempi del grande e potente re Nimrod, il costruttore della torre di Babele, l’umanità da poco risorta aveva dimostrato di non essere molto cambiata: Insomma noi, per la maggior parte, abbiamo la maledetta tendenza a restare sempre uguali a noi stessi, specialmente nelle nostre pecche!

Ricordiamoci invece che idealmente vorremmo seguire, per quanto la modernità ce lo conceda, le orme di quegli antichi Cavalieri ai quali dopo aver preso i voti più nulla apparteneva se non la loro fede, il loro coraggio, la loro dedizione alla Cristianità. Ricordiamoci che se era loro concesso di conservare un ricordo di famiglia in metallo prezioso, questo doveva essere coperto di vernice nera perché non fosse in alcun modo simbolo di ostentazione.

Con molta amarezza ho dovuto constatare che per troppi il “momento più bello” è stato l’inizio della caduta, ma ciò è comprensibile se, da bravi Cristiani, ci ricordiamo che la leva che il “Maligno Satana” usa con più successo nei nostri confronti è quella della adulazione, facendoci credere portatori di chissà quali capacità esclusive, accrescendo la nostra arroganza e il nostro senso di insoddisfazione, allontanandoci dalla comprensione delle nostre naturali inadeguatezze.

San Bernardo da Chiaravalle, colui che scrisse la regola dei Cavalieri più discussi e ammirati di tutti i tempi, a cui Noi  e la nostra cavalleria ci vogliamo ispirare, affermava che era stolto e non meritevole chi gioiva constatando la propria virtù, poiché se questa era veramente presente era perché il Signore Iddio l’aveva permesso!
Possiamo dunque concludere dicendo che non possiamo considerarci ispirati ai Poveri Commilitoni della Milizia di Cristo, poi denominata del Tempio di Gerusalemme, e odiernamente in modo riduttivo e piuttosto improprio Cavalieri del Tempio o più semplicemente Templari, se non abbiamo capito che neppure la virtù ci appartiene e se  essa è presente in noi è solo perché il Signore Iddio l’ha permesso.

 

Non Nobis, Non Nobis  Domine, sed Nomini Tuo da gloriam

 

Fr. Nadir Balilla Tontini

Vicecomandante della Federazione Internazionale OMCTH e
Priore del Priorato di San Martino OMCTH

 
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